Minimal life style / minimalist life

Tra New York e Londra è cresciuta una nuova moda: meno è più, cioè meno cose hai meglio è. Più ti liberi degli oggetti più sei libero. O, ancora, “gli oggetti che possiedi, alla fine ti posseggono” (Fight Club, ancora una volta lo cito – a memoria, ma del resto avrete capito dai vari miei post la mia convinzione che artisti e poeti precorrono i tempi, cioè la sensibilità e la visione (intesa come gerarchia di valori) del mondo esterno.
Devo anche aggiungere che mio nonno – generazione 1904 – vuoi per contingenze esterne – guerre e povertà – vuoi per sua filosofia di vita, preferiva la “teoria del poco”. Poco e buono, piuttosto che tanto e ciarpame. Solo le cose essenziali.

Questa nuova tendenza dice la stessa cosa – ovviamente con qualche differenza, perché la storia, come ci insegna Vico, è fatta di corsi e ricorsi, ma ogni volta da una posizione più alta, e dunque simile ma non identica. E questi giovani, che si definiscono come generazione zero, diminuiscono i loro indumenti, i loro DVD, i loro libri, così da fare stare dentro una valigia l’esseziale, eliminando armadi, cassettiere, librerie. Ma si portano dietro il computer, o il palmare o l’iPad. E dentro all’hard disk tengono tutta la loro vita digitalizzata – ma allora tanto minimalista questa tendenza non è, preferisco di molto lo scambio e il baratto.

Sono anch’io minimalista, da moltissimi anni – e mia moglie mi prende spesso in giro per il mio esiguo – ma essenziale, aggiungo io – vestiario. Adesso che scopro di essere uno della “generazione zero” non mi sento né meglio né peggio di prima.

Il problema è un altro. Si possono diminuire gli oggetti della propria casa o del proprio vestiario, ma noto che non si diminuiscono le tonnellate di cemento per nuove case, oppure i chilometri d’asfalto per le nuove arterie di collegamento o le tonnellate di ferro per le rotaie dell’alta velocità. E la cosa buffa e triste allo stesso tempo è che le case sfitte, disabitate, a Milano ci sono, per esempio. Ma si preferisce costruirne di nuove. Che l’alta velocità ti permetterà sì di diminuire i tempi di percorrenza, ma ti peggiora il paesaggio e l’ambiente. La qui vicina Caldogno, che è stata allagata dall’acqua del Bacchiglione, è passata in vent’anni da 4.000 a 10.000 abitanti e per i prossimi anni dovrebbe arrivare a 20.000 – perché dovrebbero arrivare gli americani del Dal Molin. Costruisci di qui costruisci di là, gli imprenditori devono costruire, e molto spesso si costruisce a caso, dove capita. La terra assorbe l’acqua, il cemento no. Lo so che sto facendo un discorso molto generico e spiccio, ma non è per dare giudizi e trovare responsabilità, è solo per far riflettere. È importante agire ma certe volte, prima di agire, è importante pensare e riflettere, perché poi l’ambiente, le riflessioni che non hai fatto, te le ripropone sotto forma di disastri e allora sì che ci pensi e ti interroghi: era davvero inimmaginabile questa cosa qui?

Tra l’alluvione del Polesine del 1951 e quella di Vicenza del 2010 ci sono alcune importanti differenze. Nel 1951 piovve per due settimane, nel 2010 ha piovuto per tre giorni. Nel 1951 avvenne in gran parte per cause naturali, nel 2010 è stata frutto dell’abbandono e della cementificazione del territorio. Nel 1951 il Po non fu deviato dagli americani, nel 2010 il Bacchiglione, il fiume che ha inondato Vicenza, è stato deviato dagli americani per la base militare Dal Molin. Infine, nel 1951 i giornali si occuparono del disastro, nel 2010 i giornali si occupano delle zoccole, ma non può piovere per sempre.
FONTE: blog di Beppe Grillo