Una breve sintesi delle terminologie più utilizzate nell’antichità per indicare luoghi e spazi verdi, che assumono di volta in volta, significati e funzioni specifici.
I giardini più antichi nella storia – lasciando da parte l’Oriente, che meriterebbe un discorso a sé stante – sono sicuramente quelli delle civiltà del Medio Oriente. Quando i greci entrarono in contatto con il regno persiano, e poterono ammirare i loro giardini, richiamo simbolico al paradiso terrestre dell’antica religione iranica, adottarono i pairi-daesa come prestito linguistico. In seguito i latini renderanno questo nome con paradisus. Il Paradiso è un grande giardino, ricco di fiori, acqua, piante, animali. Lo sarà nelle civiltà del Medio Oriente, e successivamente lo sarà anche per l’Europa.
Presso i greci il giardino si arricchisce di un nuovo elemento simbolico: è il luogo dell’esercizio del pensiero, “[…] del rapporto meditato tra l’uomo e la natura.” (cfr. TOSCO, C, Storia dei giardini, 2018, pag. 62). In Grecia, nel giardino… insegnavano passeggiando. Il più noto “filosofo in giardino” è Epicuro. Egli viveva in una casa-scuola circondata da un giardino, dove morì nel 270 a.C.
Presso i latini, con il termine hortus, si indicava sia lo spazio coltivato vicino alla casa, sia il giardino vero e proprio. Per indicare altri spazi orticoli specifici venivano utilizzati parole come viridarium (un giardino di erbe e fiori), pomarium (uno spazio con frutteti).
I romani presero a prestito molte cose dalla cultura greca. Catone il Censore, nella sua opere De agri cultura, distingue diverse tipologie di spazi adibiti al verde, come l’hortus irriguus. Virgilio, nelle Georgiche, considera l’orto non solo dal punto di vista produttivo, ma anche dal punto di vista estetico, per la semplice bellezza che esso produce. Nascono professionisti delle aree verdi, che curano i giardini ornamentali attraverso l’opus topiarium.
In epoca cristiana, nella versione latina del Cantico dei Cantici, troviamo il termine hortus conclusus. Esso diventa luogo della nascita della nuova vita (il riferimento è al parto virginale di Maria):
Giardino chiuso tu sei,
sorella mia, sposa,
giardino chiuso, fontana sigillata.
Ma in seguito il giardino diventa non solo simbolo allegorico (ad esempio nell’Apocalisse 22, 2), ma viene connesso alla figura del Cristo, che diverrà il «divino giardiniere», e verrà così rappresentato in diverse rappresentazioni pittoriche successive.
Il monachesimo, con le sue Regole, dà all’orto non solo un particolare significato, ma anche una precisa localizzazione all’interno dei monasteri. Nella Regola di San Benedetto da Norcia (redatta intorno al 540 d.C. a Montecassino) l’hortus è previsto all’interno dell’abbazia, e il lavoro nell’orto diventa anche esercizio di virtù. Isidoro da Siviglia, nella sua Regola, prescrive che il monastero abbia solo due porte: una verso l’esterno, l’altra sul retro per accedere all’orto.
In epoca carolingia si aggiungono competenze botaniche e mediche. Nel De cultura hortorum (840 d.C.) Valafrido Strabone organizza il suo orto in aree regolari, definite areola – da cui deriverà l’italiano aiuola. Ma l’opera più importante degli orti monastici altomedievali è la pianta dell’abbazia svizzera di San Gallo, dove compaiono tre tipi di orto giardino: l’orto produttivo, l’orto funerario e l’erbario.
Il termine “parco” deriva invece dal latino parricus, originariamente un recinto per il bestiame, testimoniato da alcune fonti germaniche.