Il melone nascosto

Di lui proprio non mi ero accorto. Si è nascosto tra i pomodoro, timido e silenzioso. Cresce.
Ma arriverà a maturazione prima del mite autunno? Ora che le serate si raffreddano chissà se il melone riuscirà a maturarsi… o se non arriverà al suo fine ultimo ed esistenziale. Mi viene in mente la rondine della fiaba del piccolo principe, che tanto aspettò per soddisfare compassionevole i desideri del suo immobile amico.

Ma nell’orto che trama è mai possibile? Le formiche che sperano che marcisca, per addentrarsi dentro e mangiarne il succo. Le coccinelle che tifano per il melone – le formiche sono loro nemiche. Le vespe che passano indifferenti. Tranne una, che si interroga su quella strana sfera verde. Il riccio, che di notte passa in cerca di insetti e lumache, tifa anche lui per il melone, e si chiede quando nasceranno le spine, perché un riccio verde non l’aveva mai visto prima.

Una trama un po’ improbabile nell’orto settembrino…

melone

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Le chiocciole e la filosofia

Dopo la smania di estirpare tutta la gramigna del mondo, si vede che ho bisogno di nemici, ora me la prendo con le chiocciole e le lumache.

Però anche loro…son dispettose! Mangiano i germogli delle verdure e le corolle dei fiori.
Io le seguo, le scovo, controllo le scie che che lasciano, e che brillano per tutto l’orto. Ce n’è tante nell’erba sotto gli alberi grandi, il fico, il melo, e tra i cespugli in fondo, dove ancora non ho fatto pulizia, e ci sono delle fascine di rami da portar via.

Più ne raccolgo e più ne trovo. I bambini pigri non mi volevano aiutare, così ho promesso un pacchetto di figurine ogni venti lumache massimo due pacchetti.
Mio marito dice che è corruzione dei giovani, e che per questo Socrate è stato condannato a bere la cicuta. Però era domenica pomeriggio, i giornalai erano chiusi, i bambini si sono divertiti, e poi si son dimenticati delle figurine.

Così è finito tutto bene. Anche le lumache, liberate in campagna, stanno bene, credo guardino il nuovo paesaggio con i loro piccoli occhi timidi, e facciano lunghe passeggiate chiacchierando tra di loro di filosofia.

Insetto stecco: uno sguardo ravvicinato / Stick insect: a closer look

Vediamo più da vicino l’insetto stecco, le sue abitudini alimentari, il suo comportamento.
Cosa mangia?
Foglie di ligustrum, di lamponi e di rovi. Mangia anche insalata e altre verdure dalla foglia tenera. Lavate tutto bene! È molto delicato, pulite le foglie dai ragni – sui acerrimi nemici – e da sostanze velenose come gli antiparassitari.
Come si riproduce?
Per fecondazione o per partenogenesi. Il carattere sessuale si riconosce dopo tre mute.
Cosa fa di giorno?
Sta fermo, si muove poco.
Cosa fa di notte?
Si muove. Comportamento specie specifico? Forse. L’insetto stecco preferisce muoversi di notte per evitare quelle creature che vorrebbero mangiarlo: ragni in primis.
Qual’è la sua temperatura ideale?
24° C, ma anche a 18-19° C sta bene.

Per chi desiderasse ulteriori approfondimenti visiti il sito www.insettostecco.it.
Un altro sito utile è www.lorologiaiomiope.com

Let’s look more closely at the stick insect, its habits, its behavior.
What to eat?
Leaves of igustrum, raspberries and blackberries. Also eat salad and other vegetables from the tender leaf.
Sexual behaviour?
By fertilization or by parthenogenesis. The sexual character is recognized after three mute.
What makes the day?
Stands still, moves little.
What do you do at night?
Moves. Species-specific behavior? Maybe. The insect prefers move around at night to avoid the creatures that would eat it: first of all spiders.
What is it ideal temperature?
24 ° C, but even at 18-19 ° C is fine.

Inverno / Winter

Questa piccola brochure, 18 x 18 centimetri, dedicata all’inverno, la potete sfogliare dal sito di Issuu. Un piccolo dono post-natalizio per tutti i lettori del mio blog.
Cliccate qui per leggerlo.

This small brochure, 18×18 cm, dedicated to winter, you can browse from Issuu. A little post-Christmas gift to all readers of my blog.
Clic here to read it.

Report coccinelle

Come stanno le coccinelle nel bagno? Da quando le abbiamo liberate dal barattolo di vetro, dopo appena un giorno… scomparse. Dove siano andate non ne ho idea – forse dietro lo specchio?

Ma ogni tanto ne vedo qualcuna camminare lungo le piastrelle, anche a notte fonda. No no, non sto sognando. Questa sera una coccinella saliva sulla porta del bagno, un’altra sul dentifricio alla fragola…

Una nota sulla categoria del post: storie nell’orto. Forse sarebbe più corretto dire “Storie nel bagno”, ma preferisco la prima categoria. L’orto può essere trasportato anche in bagno – non tutto, ci devo poter entrare anch’io.
Uno dei miei sogni ricorrenti è quello di avere una casa con dentro pezzi d’orto: insalata che cresce sulle pareti, pomodoro ciliegino che penzolano dai lampadari, fagiolini che si arrampicano sugli attaccapanni. Che male ci sarebbe? Del resto tutte le piante da interno sono quasi esclusivamente tropicali, prese da una foresta pluviale, trasportate per migliaia di chilometri in Europa e rinchiuse da quattro muri di cemento o di pietra – come i miei.

Non ci vedo nulla di strano a trasportare un poco di orto in casa. Ormai la definizione di casa borghese è un concetto antiquato, così come ritengo obsoleto la divisione delle camere – soggiorno, salotto, sala da pranzo, entrata – l’entrata poi! Non capisco a cosa serve. A entrare direte voi. Sì, ma non basta la porta? Mah… e battaglie con mia moglie a spiegarle questi miei nuovi concetti… niente da fare, non molla! Casa borghese vuole che sia! Eppure se cambiano i valori, devono cambiare anche le funzioni. Ecco, sento il bisogno impellente di teorizzare questa idea di “nuovi valori = nuove stanze per l’abitazione”, ma sarà per un prossimo post – e rischio anche di uscire dal tema, come mi capitava alle scuole medie e superiori, di fare di questo blog sull’orto un blog su casa e arredamento – confini inutili, io penso. Basta. Esco dal sogno. Ritorno alla realtà.
A presto

Proprietà

Ieri una signora mi ha chiesto:
«Hai animali a casa?»
«Sì – ho risposto – ho un gatto…»
«E lo tieni dentro a casa o in garage?»
«Fuori casa»
«Ha una cuccia?»
«No. Sta fuori. Poi viene sui gradini dell’entrata e si mette a dormire sopra lo zerbino o sopra ad una poltrona di vimini»
«Ma è tuo il gatto, vero?» mi ha poi chiesto, un poco confusa dalle mie risposte.
«No, non è mio. Però viene spesso a trovarmi al mattino, alla sera tardi e qualche volta di pomeriggio. Io gli dò una tazza di latte e lui la beve, ringrazia e fa le fusa. Quindi ho un gatto.»
«Ah… e non hai altri animali?»
«Sì, ho un riccio, rondini, passeri e merli d’estate, pettirossi d’inverno, e pensandoci anche un corvo che gracchia sopra le antenne della Tv delle case accanto alla mia. Poi ho anche molte lucertole»
«E dove tieni tutti gli uccelli, in gabbia?»
«No, se ne stanno fuori, sugli alberi. Poi fanno una cappatina nell’orto a beccare i vermi. Perché dovrei tenerli in gabbia? Vuoi mettere a vederli liberi a volare nel cielo, a cinguettare nascosti tra i rami del Ligustrum? E anche il riccio lo tengo fuori. Qualche rara volta, di notte, lo incontro.»
«Ma scusa, sono tuoi questi animali?»
«Non sono miei, ma ci sono, dunque un poco mi appartengono»

La morale di questa brevissima storia è che non capisco più il concetto di proprietà applicato agli animali. È mio e lo devo tenere in casa, oppure rinchiuso in una gabbia. Ma dov’è la bellezza di questa cosa? E la mia casa, non è che sta diventando la mia gabbia? Il mondo dovrebbe essere la mia casa. Questa inutile divisione tra esterno ed interno va pian piano abolita, o limitata.

È sicuramente un retaggio della cristianità controriformata: il corpo opposto allo spirito. Certo non sarei felice se estranei circolassero a casa mia come fosse la loro, ma ribadisco che il piccolo mondo che mi circonda – il quartiere, il centro, la città, la campagna – anche questo deve essere un po’ casa mia – e casa nostra.

Manca un po’ questo senso di appartenenza. Sarà lo spirito del capitalismo ad aver esteso la proprietà privata anche agli animali? Se non c’è questo senso di appartenenza dove va a finire il rispetto verso l’Altro?

Mah… considerazioni in una giornata di ottobre…

Incontri spinosi

Ieri sera, dopo le 23.00, ho fatto un inaspettato quanto felice incontro.
Spinoso sì, ma spine di piacere, se si può dire, nulla a che fare con dolore, sangue, sofferenza.

Il piccolo riccio – ma badate che non so esattamente se è proprio piccolo, né se è lo stesso che incontravo l’anno scorso nelle nottate estive, è “piccolo” perché è proprio bello – dicevo il piccolo riccio è ricomparso nel mio orto. Butto l’occhio sull’erba cipollina e ci vedo sopra una massa scura, grigio-nera.

Il riccio. Devo fargli una foto. Così corro di sopra a prendere la Nikon, l’obiettivo giusto era già montato. Questa volta accendo il flash – l’avrò usato sì e no cinque volte da quando mi sono comperato la D50.

Ecco che ritorno e il riccio non c’è più. Ma deve esserci, mi dico. Così mi addentro tra i finocchi cresciuti a più di un metro e mezzo d’altezza e lo scorgo nascosto sotto al rosmarino. Sapevo che non poteva fare le corse.

Mi avvicino, mi accuccio al suolo, mi avvicino ancora. Lui non si muove, credo sia impaurito, noto gli aculei del suo mantello protendersi a difesa. È immobile. Solo un attimo – cerco di dirgli mentalmente – solo due foto. Clic. Cambio focale. Clic di nuovo. Foto riuscita. Non voglio disturbarti ancora. Ti lascio catturare tutti gli insetti e meglio ancora le lumache che vuoi, che mi fai anche un piacere. E ti saluto. Ciao riccio. Mi ha fatto proprio piacere incontrarti e sapere che ancora bazzichi per il mio orticello.

Oggi vi racconto una storia

Viene un mio amico a trovarmi e mi racconta una storia. Così interessante e incredibile che ve la racconto anche a voi – e se la conoscete già scusatemi e saltate oltre: se ad esempio avete visto l’ultimo film di Ermanno Olmi, forse la storia non vi sarà nuova. Comunque vado avanti.

C’era un signore, che è morto a 73 anni, che un giorno, a 35 anni, ha deciso di vivere da solo, dopo una delusione amorosa. Una specie di nuovo Adamo, ma senza Eva. Così questo signore ha vissuto nei suoi 4 ettari di terreno a San Cipriano (Roncade) in provincia di Treviso. Viveva in una casa vecchia, con l’orto e un bosco. Si faceva le sue colture, si tagliava la legna, mangiava quello che produceva, si vestiva tessendo i suoi vestiti, si faceva dei succhi di frutta per l’inverno e tappava le bottiglie con le pannocchie di mais. Solo qualche volta chiedeva, così ha detto il mio amico, dei fiammiferi a sua sorella. Nient’altro. Questo signore, che si chiamava Ernesto Girotto, ha vissuto così in autonomia per quasi quarant’anni.

Si dice che sia morto di stenti, perchè la calda estate del 2003 gli ha compromesso il raccolto e si è trovato in inverno senza niente da mangiare. Ma ha lasciato una cosa: la creanza. Cos’è la creanza? Sono i semi del mais che lui ha selezionato per quarant’anni. Ben tenuti dentro una cassetta di legno per essere seminati e fatti germogliare.

Poi la storia è continuata con un nuovo personaggio. Un ragazzo (Devis) che è andato a vedere la casa di Girotto. Un ragazzo che dal Friuli è venuto in Veneto in bicicletta, con una tenda per dormire, dei vestiti, delle vivande. Nient’altro. Si è fatto tanti chilometri – 370 per la precisione – per vedere la casa di Girotto. Qui passo il filo del racconto a voi lettori. Perché questo ragazzo ha un sito internet, dove racconta di lui e della casa di San Cipriano che è andato a visitare. In questo sito, se vi interessa, potete trovare informazioni più dettagliate e vedere delle immagini.

Io vi ho raccontato questa storia per il gusto del racconto. Ora, se volete, potete approfondire. L’indirizzo internet è qui.

A presto.