Effetti positivi del verde

Il professor Roger Ulrich dell’Università del Texas ha condotto una ricerca sugli effetti esercitati dal verde sulle persone.

Sembra che le persone eliminino lo stress più velocemente in un ambiente naturale che in un ambiente non naturale. Gli alberi, le piante e i fiori aiutano a riportare velocemente la pressione sanguigna e il battito cardiaco su livelli normali. Un altro studio rivela che i pazienti che hanno subito un intervento chirurgico traggono maggiore beneficio se godono di una vista su un paesaggio naturale. Ne consegue che si riprendono più velocemente, possono tornare a casa prima, hanno bisogno di una minore quantità di antidolorifici e si lamentano meno. Caspita! Il semplice fatto di trovarsi in mezzo alla natura ha effetti strepitosi.

Brucia calorie

L’aspetto migliore del giardinaggio è che si tratta di un’attività che solitamente si svolge per il proprio piacere. È gradevole rovistare nella terra indossando vecchi indumenti con il viso baciato dal sole. Il risultato è un giardino meraviglioso, variopinto e profumato. Ma anche un fisico tonico! Infatti in un’ora trascorsa a piantare, seminare e potare alberi, arbusti e fiori si bruciano ben 350 calorie. Lavorando con vanga e rastrello bruci persino più calorie che andando in bicicletta. Quindi al termine di una giornata impegnativa e stressante, è fantastico tornare a casa e scavare spensieratamente in giardino.

Pianta i bulbi da fiore

La bella stagione è quasi finita ma fortunatamente questo è il momento giusto per piantare i bulbi da fiore. Oltre ad essere un’attività rilassante, ti consente di bruciare molte calorie e in primavera ti regala un quadro di colori stupendo in giardino. Il periodo ideale per piantare i bulbi da fiore è tra settembre e dicembre, prima che sopraggiungano le prime gelate notturne. Per un risultato garantito segui questi quattro semplici passaggi.

  1. Innanzitutto allenta il terreno con una pala nel punto in cui desideri piantare i bulbi.
  2. Scava una buca utilizzando una pala o un piantabulbi.
  3. Colloca i bulbi nella buca con la punta rivolta verso l’alto e il lato bombato rivolto verso il basso.
  4. Chiudi la buca con la terra precedentemente rimossa, pressandola leggermente.

verde

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A cosa serve la pioggia?

In teoria dovrebbe servire all’abbeveraggio di fiori e piante, e a farli crescere, ma ascoltando la radio questa mattina, mi è sembrato che serva di più ad abbassare le percentuali di polveri sottili che se ne vanno a ufo per le nostre città. Ed ecco che anche la pioggia diventa un fatto politico…

Sta di fatto che oggi ha piovuto, poi è caduta pioggia ghiacciata, poi ha nevicato, poi di nuovo pioggia e nevischio, e adesso sta nevicando ancora… fiocchi grandi, poi piccoli, poi di nuovo misti a pioggia. Noi non abbiamo tante parole per elencare i tipi di neve. In Finlandia ne hanno molti più di noi, e giusto per la curiosità ecco un sito dove vengono elencati oltre 40 tipi di neve. Seguite questo link.

p.s. = se domani sarà tutto bianco vi posto qualche foto con la neve 😉

Il Bosco Verticale

Simbolo della nuova Milano, il Bosco Verticale è un grattacielo realizzato da Manfredi Catella e progettato da Stefano Boeri. L’opera è stata premiata come “il grattacielo più bello e innovativo del mondo” dalla giuria del Council on Tall Buildings and Urban Habitat (promosso dall’Illinois Institute of Technology di Chicago).

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È un inno alla vita e alla Natura, pur nella necessità culturale di edificare appartamenti per uomini e donne. O, se volete leggerla in altro modo, portare Natura e vegetazione in posti prima impensabili.

Una sintesi degli intenti del progetto, tratta dal progetto preliminare dello studio di architettura Barreca e La Varra di Milano:

Il progetto per il Bosco Verticale propone di costruire torri ad alta densità di abitanti e di alberi all’interno della città. Il primo esempio di Bosco Verticale è in costruzione nell’area Garibaldi Repubblica a Milano e prevede la realizzazione di due torri di 80 e 112 metri, in grado di ospitare 480 alberi di grande e media altezza, 250 alberi di dimensioni piccole, 11.000 fra perenni e tappezzanti e 5.000 arbusti (complessivamente, il corrispettivo di 10.000 mq di bosco).
Il Bosco Verticale è l’idea di un’architettura che demineralizza le superfici urbane utilizzando la mutante policromia delle foglie per le sue facciate e che affida a uno schermo vegetale il compito di creare un adeguato microclima e di filtrare la luce solare. Un’architettura biologica che rifiuta un approccio strettamente tecnologico e meccanico alla sostenibilità ambientale.
habitat biologici Bosco Verticale incrementa la biodiversità. Favorisce la formazione di un ecosistema urbano nel quale diverse tipologie di verde creano un ambiente verticale in rete che potrebbe anche essere colonizzato da volatili e insetti, diventando un sensore urbano della ricolonizzazione vegetale e animale spontanea della città. La ripetizione nella città di più Boschi Verticali realizza una rete diffusa e capillare di corridoi ambientali che innervano i principali parchi urbani, consolidano il verde dei viali e dei giardini e connettono gli spazi sottoposti alla crescita della vegetazione spontanea alla rete generale.

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Cominciata la costruzione tra la fine del 2009 e l’inizio del 2010 con la posa delle fondamenta, il Bosco Verticale è stato inaugurato nel mese di ottobre 2014.

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Il grattacielo prevede una rotazione degli alberi a seconda della stagione. L’idea di accompagnare la vita delle persone con i ritmi naturali degli alberi non fa altro che confermare l’intento di andare verso un’architettura sostenibile, dove il rispetto per le persone va di pari passo con il rispetto per la Natura, due mondi che nella logica Occidentale della società consumistica non sempre sono stati tra di loro in accordo, ma all’opposto sembravano due realtà così separate e divise da non accettare nessun compromesso sul piano pratico.

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Auto elettriche

Vi ricordate i Flinstone? Il cartone animato degli uomini primitivi con uno stile di vita da civiltà industrializzata? Avevano un pregio i Flinstone: le loro automobili non inquinavano. Funzionavano grazie alla forza dei piedi. Noi invece usiamo il motore a scoppio… e le auto elettriche sembrano ancora un sogno, nonostante siano commercializzate dagli anni ‘90.

Flinstone

Qual’è il problema principale dell’auto elettrica? La batteria (Cfr. Chi uccide l’auto elettrica).
E poi i distributori, non di benzina o gasolio, ma di elettricità. Manca anche un nuovo concetto – leggi stile di vita – sulla mobilità.
Ma andiamo avanti.

Vi avevo già parlato – qualche post fa – del furgoncino della Renault a motore elettrico.
Ma il parco di auto che fanno ricorso all’energia elettrica (motore solo elettrico o ibrido), è in realtà molto vario. Sarebbe bello e meno fastidioso vedere, con il semaforo rosso, delle macchine ferme che non inquinano (e lo dico tra parentesi, ma quelle frasi che trovate nei pacchetti delle sigarette, tipo «il fumo uccide» dovrebbero applicarlo come targhetta metallica anche dietro a tutte le macchine a combustibile fossile).

Ecco allora un elenco delle macchine e dei prototipi ad energia elettrica.
Peccato non ci sia anche la Fiat.

BMW ActiveHybrid7 e X6.
Motore elettrico/benzina; prezzo a partire da 107.040 euro (ActiveHybridX6) e 112.540 euro (ActiveHybrid7).
Citroen C-Zero.
Motore elettrico; quattro posti; batteria con autonomia di 150 km; prezzo 35.960 euro.
Ford Transit Connect.
Motore elettrico; furgoncino commerciale; 130 Km di autonomia e velocità max di 120 Km/h.
Mini Cooper Electric.
Motore elettrico; autonomia di 193 Km.
Honda Jazz Hybrid.
Motore elettrico/benzina; 5 posti; prezzo 18.700 euro.
Honda CR-Z Hybrid.
Motore elettrico/benzina; coupé a 4 posti; prezzo 21.800 euro.
Renault Fluence Z.E.
Motore elettrico; berlina a 5 posti; autonomia di 160 Km; prezzo 27.200 euro.
Chevrolet Volt.
Motore elettrico; Berlina; autonomia/tempo ricarica: 60/4; disponibilità: fine 2011.
Opel Ampera.
Motore elettrico; berlina a 5 posti; autonomia di 160 Km; prezzo 35.000 euro.
Nissan Leaf.
Motore elettrico; 5 posti; 180 Km di autonomia; prezzo 35.000 euro.
Mercedes Classe A E-Cell.
Motore elettrico; 200 Km di autonomia; 5 posti.
Toyota Prius Plug-In.
Motore elettrico/benzina; prezzo da 27.200 euro.
Smart ForTwo Electric Drive.
Motore elettrico; 2 posti; 140 Km di autonomia; prezzo 19.900 euro.

Certo, direte voi, non se ne vedono molte in giro – forse la più diffusa è la Prius (auto ibrida), che ha venduto oltre i due milioni di pezzi.
Infine una considerazione: come si produce l’energia elettrica per le auto elettriche? Se è da fonti rinnovabili va bene, ma se devo utilizzare una centrale a carbone? A questo proposito vi rimando a questo articolo di Repubblica.

electric car

Z.E. Concept

Immaginatevi a piedi, fermi ad aspettare che il semaforo diventi verde.
Le macchine sfrecciano veloci.
Pessimo odore di gas di scarico.
Immaginate se quelle macchine fossero elettriche.
Almeno in città.

La Renault ci sta già pensando, soprattutto con la Kangoo Z.E., veicolo commerciale 100% elettrico – ma anche altre marche vanno in questa direzione: la Toyota, con la sua Prius, la Ford con la Focus Electric, la Mitsubishi…

E la Fiat?
Punta sui nuovi motori TwinAir – che hanno già ricevuto quattro riconoscimenti ufficiali tra cui il “Best green engine”.
Motori a benzina con riduzioni di emissioni fino a 90 g/km.

ZE Concept

Il Centro Bullit, l’edificio autosufficiente di Seattle

Sorgerà ai margine del quartiere di Capitol Hill (1501 East Madison Street), a Seattle, avrà un tetto a sombrero di pannelli fotovoltaici, sarà in grado di riutilizzare l’acqua piovana – i romani usavano l’impluvium. Sarà l’edifico commerciale con uffici a più piani più ecofriendly del mondo. Il suo costruttore, Chis Roger, si è impegnato a non impiegare 362 componenti edilizi ritenuti tossici – come piombo e cadmio.

Per maggiori informazioni andate nel sito – in inglese.
Per vedere alcune foto fate clic qui.

Un applauso alla Coop Adriatica

Sì, mi sento di farlo. La Coop recepisce i nuovi trend e mette in pratica delle strategie volte a soddisfarli.
Così il 22 settembre 2011 si è inaugurata la nuova inCoop a Conselice (RA). Mi basta la politica della Coop verso l’acqua potabile per battere le mani: all’esterno del supermercato un distributore di acqua potabile (anche frizzante) realizzato con l’aiuto della multinazionale Hera, permette alle persone di rifornirsi di acqua pubblica. Risparmi sulla spesa, riduci l’impatto ambientale sul consumo d’acqua. Ovviamente questo supermercato venderà meno bottiglie d’acqua, visto che è gratis all’esterno, e perderà in fatturato, ma dal punto di vista del green marketing è un’ottima strategia. Guadagni la fiducia del cliente. Dimostri, in concreto, che ti interessa di più la sostenibilità ambientale piuttosto che il nudo e crudo guadagno. Applauso!
Ma non è l’unica cosa innovativa del supermercato:

  • c’è un’area dove puoi lasciare gli imballaggi vuoti senza portarteli a casa e in seguito gettarli nel cassonetto;
  • trovi reparti di prodotti biologici;
  • il negozio è raggiungibile con bicicletta o a piedi attraverso una pista ciclo-pedonale dedicata;
  • se hai bici o auto elettrica, all’obra di una pensilina fotovoltaica, c’è una colonnina di ricarica;
  • i prodotti invenduti (“Brutti ma buoni”) vengono donati alle Onlus, con un risparmi nella gestione e nella riduzione dei rifiuti;
  • installazione di sistema di recupero acque piovane poi riutilizzate per riempire le cassette dei servizi igienici e per innaffiare le aree verdi esterne;
  • costruzione di camini solari che convogliano la luce all’interno del supermercato riducendo l’uso di luce artificiale;
  • offerta dei prodotti orientata sempre di più a prodotti tipici e locali, “vicini” in termini di chilometraggio.

Risultato: risparmio del 40% rispetto ad un normale supermercato costruito secondo le più recenti norme a contenimento dei consumi.
Morale? Se si vuole, si può.

Più green di così… si può?

Ritorno sull’argomento della Green Economy con il solito incubo ricorrente: quello, come ormai ben sapete, del penetrare nei villaggi più remoti – qualche freudiana interpretazione al riguardo?
Ritorniamo al tema. Siamo nel bel mezzo della Green Economy, nascono sempre più – quasi come funghi – logotipi green, green awards, si fa guerra all’overpackaging, si confezionano nuove strategie di green marketing, si fa a gara per diventare “polo verde” ed essere campioni nei settori renewable energy e waste & disposal services. Insomma – direbbe l’uomo del marketing di turno – l’outlook è positivo.

Ma perché lo si fa? Tra parentesi, certe domande è sempre il caso di riproporsele. Perché le aziende pensano in verde anche a discapito del fatturato, o perché le aziende pensano in verde perché il trend è verde e dunque per fatturare di più devono per forza diventare green?

La Nielsen ha effettuato un sondaggio in 51 Paesi, dall’Europa, all’Africa, al Medio Oriente, fino all’America e all’Asia, e ha infine deliberato che la sostenibilità è un problema non solo etico, ma economico, e che il 79% degli italiani intervistati è preoccupato anche per gli sprechi del packaging. Per toglierli questa preoccupazione – fosse l’unica! – gli presenti il nuovo prodotto con il packaging ridotto del 30%. Vedi, ad esempio, Sant’Anna Bio Bottle: al posto del tradizionale imballo in pellicola di plastica termoretraibile (tecnicamente “fardello”), tre fili di raccordo capaci di tenere insieme sei bottiglie. Uguale a riduzione di dieci volte di materiale inquinante e contemporanea riduzione di consumi energetici in linea di montaggio. Bello no?

Dunque, a prescindere che le aziende lo facciano per propensione naturale alla sostenibilità o per calcolo dei nuovi trend del momento la cosa è positiva. E più green di così si può? Si deve! E il cambiamento dipende – soprattutto – dal singolo. Il singolo rappresenta la domanda, l’azienda l’offerta. Questo vuol dire che ogni nostra azione è importante, e che dobbiamo avere la forza e il coraggio di guardare con occhio critico a quello che ci viene proposto, e se non rientra nella nostra etica si dice di no. Si deve dire di no. Se fossi in un villaggio remoto, e mi proponessero l’EkoCool?
[…]

Meno sprechi = più qualità

È il motto di Oswald Zuegg, presidente e amministratore delegato dell’omonimo gruppo produttore di succhi di frutta, marmellate e semilavorati per l’industria aliementare. Nel 2010 la Zuegg ha fatturato 186 milioni di euro con 6 stabilimenti dislocati in Austria, Germania, Italia, Francia e Russia.

Per Zuegg meno sprechi significa mettere in atto accorgimenti per ridurre il consumo di energia elettrica – 141,78 kW/t utilizzati nel 2010 nello stabilimento di Luogosano (AV)contro i 183,71 kW/t utilizzati nel 2008 – e di acqua. Ma anche trovare fornitori vicini allo stabilimento per ridurre la produzione di CO2 derivata dal trasporto, utilizzare il gas metano negli stabilimenti, contenere la produzione degli scarti, di cui l’80% viene riciclato. E ancora utilizzare materiali riciclabili per il confezionamento: vetro per le marmellate e materiali certificati FSC per gli imballi.

Procter & Gamble Green

Azienda leader nel settore del beauty & grooming, con un fatturato che si avvicina ai 27 miliardi di dollari, la P&G entra nella Green Economy aderendo all’associazione senza scopo di lucro GreenBlue che offre a circa 200 aziende il progetto Sustainable packaging coalition, volto a fornire il know-how necessario per realizzare confezioni il più possibile sostenibili dal punto di vista ecologico. Così la P&G acquisterà da Brasken la “plastica vegetale” – materiale prodotto utilizzando l’etanolo derivato dalle piantagioni di canna da zucchero brasiliane. Quindi eliminando l’utilizzo del petrolio. La bio-resina dei flaconi Pantene Pro-V Nature Fusion sono realizzati utilizzando la bio-resina – polietilene ad alta densità -, riciclabile al 100% .

La riduzione della plastica da parte di P&G è iniziato già quattro anni fa con il packaging del Gilette Fusion che riduceva la plastica del prodotto del 49% e il peso complessivo del 29%, abbattendo così le emissioni di CO2 derivate dalla produzione e dal trasporto.

Il progetto di P&G entro il 2020 è di sostituire il 25% delle materie prime per la realizzazione dei prodotti con derivati del petrolio a basso impatto ambientale, sostenibili e rinnovabili.

Green Economy

Chimata anche Economia Verde. Una definizione:

Al giorno d’oggi si definisce economia verde, o più propriamente economia ecologica, un modello teorico di sviluppo economico che prende origine da un’ analisi econometrica del sistema economico che oltre ai benefici (aumento del Prodotto Interno Lordo) di un certo regime di produzione prende in considerazione anche l’impatto ambientale cioè i potenziali danni ambientali prodotti dall’intero ciclo di trasformazione delle materie prime a partire dalla loro estrazione, passando per il loro trasporto e trasformazione in energia e prodotti finiti fino ai possibili danni ambientali che produce la loro definitiva eliminazione o smaltimento. Tali danni spesso si ripercuotono, in un meccanismo tipico di retroazione negativa, sul PIL stesso diminuendolo a causa della riduzione di resa di attività economiche che traggono vantaggio da una buona qualità dell’ambiente come agricoltura, pesca, turismo, salute pubblica, soccorsi e ricostruzione in disastri naturali. [fonte Wikipedia. Per approfondire clic qui.

Cosa fanno le grandi multinazionali per essere Verdi?
Ecco un esempio. La cocacola, come si sa, fa la cocacola. Le persone la comperano e la bevono – io no, preferisco il Chinotto. Comunque la cocacola ci guadagna e fattura – non gli si può dar torto. Cosa fa in ambito green la cocacola a Manila? Un cartellone – billboard – alto e largo 18 metri, formato da 3.600 piante da tè Fukien, disposte in modo da disegnare la sagoma della bottiglia della famosa bevanda – il tabellone è realizzato con materiali riciclati e riciclabili in partnership con il WWF. Lo scopo? Assorbire anidride carbonica. Ciascun esemplare di pianta da tè è in grado di assorbire 12 kg di anidride carbonica, per un totale di circa 47 tonnellate di CO2. La cocacola, che continua a fare la cocacola, perché le persone la comperano e la bevono, rilancia eticamente la propria immagine con questa svolta ambientale. Ma non solo: sempre nel contesto asiatico, nei villaggi più remoti, la multinazionale con tutte quelle tutte quelle bollicine – così come la cantava Vasco Rossi – fornirà dei refrigeratori chiamati EkoCool, cioè alimentati ad energia solare, in grado di contenere 48 bottiglie da 300 ml ciascuna. [fonte: rivista Business, settembre 2011]
Cosa ne pensate? È abbastanza Green? E perché nei villaggi più remoti?


Photo: © WWF / Lory Tan.

Nulla si crea, nulla si distrugge, nulla si butta

La nostra società ci abitua fin troppo bene a gettare le cose, e molti prodotti che comperiamo sono già per metà spazzatura. Strappando l’erba con le mani, nel mio tentativo di riportare una certa razionalità, ordine e decoro nel giardino, avrei potuto buttare anche l’erba nell’apposito cassonetto – qui a Vicenza sono color verde. Ma invece no. Nulla si butta. Soprattutto le cose apparentemente inutili. Come appunto dell’erba appena tagliata.
Fukuoka insegna – quel poco che ho imparato e adattato alle mie esigenze. Così per proteggere la terra dal sole di aprile, ho sparso l’erba tagliata sulle due porzioni del mio piccolo orto – nelle altre due c’è ancora il telo pacciamato.

Quest’erba si seccherà, poi comincerà a decomporsi, diventerà “casa” per tanti piccoli insetti, infine se un giorno deciderò di vangare il terreno, andrà a finire sotto alle zolle di terra – tecnica del sovescio.

Non mi dimentico il fattore estetico. A guardare questo tappeto erboso, già l’orto vuoto di aprile mi piace di più. Mi vien quasi voglia di stendermici sopra…

Emissioni zero

Sorrido non poco quando vedo queste applicazioni circolare per il web, sui giornali, in televisione. Sui giornali e in televisione queste notizie sono importanti perché riescono a prendere lo spazio di altre notizie più importanti. Sul web ho come l’impressione che l’umanità tutta sia ormai acculturabile solamente con un videogioco, una App da scaricare sul telefonico – Huizinga aveva le idee chiare quando scrisse Homo ludens (1938).

E così General Electric ha lanciato sul web l’applicazione “How much CO2 is created by” – realizzata graficamente da David McCandless: giocando a spostare il mouse ci si diverte a vedere quante emissioni di biossido di carbonio producono le nostre azioni quotidiane.

Quel che mi interessa è che facendo asciugare il bucato al sole l’emissione è zero (non ci sarei mai arrivato da solo) e anche raccogliendo una mela dal proprio albero in giardino – e questo vale per tutti i prodotti dell’orto – l’emissione è zero. Ah sì, anche facendo scaldare l’acqua del bagno con il sole l’emissione è zero.
Imparate e giocateci pure:
visualization.geblogs.com/visualization/co2
A presto.