Per dire tutta la verità, questo libro l’ho trovato un po’ difficile da leggere, e per essere sincero non l’ho letto tutto. L’ho letto a tratti, saltando di pagina in pagina. La prosa l’ho trovato un po’ pesante, non fluida come piace a me. Ma comunque è un libro che vi consiglio. Perché l’ho voluto leggere? Per avere l’opinione su orti e giardini da una persona che vive oltre l’Oceano, in America, e che considera il giardino (e l’orto) in modo diverso da noi europei. A cominciare dalla recinzione. Agli americani non piace l’hortus conclusus.
“Per i puritani , tutto il paesaggio americano era una terra promessa, uno spazio sacro, e tracciare confini intorno ad alcune sue parti equivaleva a mettere in discussione questa idea fondamentale.” (p. 57)
Il libro ruota attorno ai concetti di cultura e di natura. Essendo il giardino una seconda natura, creata dall’uomo ad emulare la Natura stessa (e il concetto che di questa abbiamo), il rapporto che viene a crearsi può essere di diversi tipi: di scontro, di emulazione, ideologico, o addirittura politico. L’ordine che vogliamo dare al nostro giardino è l’ordine della natura? O è un ordine creato dalla società, di cui rispecchia ideologie e valori?
Questo rapporto viene vissuto in prima persona dall’autore, che ha deciso di sistemare l’orto e il giardino nella sua proprietà nel New England. Le più belle intenzioni si scontrano con la forza stessa della natura – erbacce in primis che invadono orto e giardino – e gli ospiti che banchettano con le primizie dell’orto, delle testarde e combattive marmotte che devastano le colture appena piantate dal nostro autore. Orto e giardino diventano il pretesto per ripensare al rapporto uomo/natura, tanto da chiedersi se le erbacce siamo noi (Cfr. cap. VI). Le ideologie e i più buoni propositi cominciano a scontrarsi con la realtà delle cose, e ogni gesto del giardiniere diventa spunto per una riflessione teorica e filosofica, fino al punto in cui l’autore formula una ipotesi (quasi) definitiva:
“[..] d’ora in poi coltiverò carote bellissime senza un attimo di riflessione […]. Può darsi perciò che il pollice verde sia proprio questo, una forma particolare di memoria: un compendio di piccole storie, distillate fino al punto in cui il giardiniere può attingere i loro insegnamenti senza nemmeno pensarci.” (p. 149)
Per riassumere, un libro che vi consiglio a metà. Interessante per certi aspetti, poco o per nulla interessante per altri. Mi ha comunque fatto piacere avere letto anche un punto di vista da oltre Oceano 😉
POLLAN, MICHAEL, Una seconda natura, Adelphi, Milano 2016, pp. 309 (tit. orig. Second Nature. A Gardener’s Education, 1991.