Non è facile ascoltare il silenzio della sera in un orto di città, ma concentrandomi ci riesco. Sentire la musica – non chiamatela rumore! – della natura in quel magico momento che è prima del crepuscolo. I merli che cantano rincorrendosi in volo, il suono delle ali dell’ultima ape che si dondola sui fiori della borraggine.
Anche i raggi del sole, che si spegne dietro un poco poetico tetto di un condominio, sembrano suonare una dolce melodia di colore.
Ecco, tra il canto di un merlo e quello di un altro uccello che non so riconoscere, sento il silenzio del mio orto, e un tranquillo senso di quiete mi pervade.
Provate ad ascoltarli questi brevi silenzi tra due suoni. Sono meravigliosi. Indicibili.
Pensate, per fare un paragone che mi piace, alla musica. Ai silenzi di John Cage. E, andando a ritroso nel tempo, ai silenzi nella Verklarte Nacht di Arnold Shoenberg, o a quelli della Nona Sinfonia di Beethoven. Ecco, questi silenzi non sono assenza di musica, ma sono musica. Il silenzio non è vuoto, assenza, è presenza e pienezza.
Provate – se ne avete voglia – questa esperienza. Forse già la conoscete. Catturare questi brevi istanti di silenzio è un’esperienza che ci ri-unisce alla natura. Dite che sto farneticando, farfugliando cose buffe, arrampicandomi sugli specchi? Non credo.
È che non siamo abituati a cogliere queste sensazioni, questi silenzi.
Penso ad una storia breve – e se è pensabile, è anche possibile. Un uomo o una donna che fugge dalla città per cercare un silenzio magico. Prima va in campagna, ma c’è un trattore che fa rumore, poi un motorino che passa, poi ancora dei grilli che sfregano le loro ali. Allora l’uomo o la donna si dirige in montagna, in riva ad un lago. Ma ecco un aereo che rompe l’incanto, poi dei ragazzini che ridono e scherzano. Allora l’uomo o la donna che sia si spinge più in alto sulla montagna. Ma ci sono le mucche che brucano e scuotono i loro campanacci. Anche il vento che soffia forte disturba la quiete totale. Alla fine, quest’uomo o donna che sia, sente il silenzio interrotto dal battito del proprio cuore, e decide di ritornare in città, sconfitto e infelice di non essere riuscito a trovare il silenzio.
Così, per finire bene la storia, il personaggio – maschile o femminile che sia – si siede sulla sedia preferita e chiude gli occhi, deluso del suo inutile darsi da fare. Proprio in quel momento non sente più nessun rumore esterno e per un attimo – ma chissà quanto è durato quell’attimo – ascolta il silenzio riempirlo fin nel suo essere più profondo. E si sente rigenerato e completamente appagato di questa intensa esperienza.
Aggiungo una postilla morale: molto spesso cerchiamo all’esterno quello che già abbiamo dentro di noi. Solo che cercarlo all’esterno sembra essere più facile e appagante. In realtà non è affatto così.
E adesso una foto. Scrivendo questo lungo post – accidenti! davvero lungo, spero di non avervi troppo annoiato – dicevo, scrivendo questo lungo post ad un tratto ho pensato: che foto ci metto? Nessuna. Difficile, impossibile, esprimere il silenzio, non ci provo nemmeno. Ma adesso mi è venuto in mente uno scatto che ho fatto a Cortellazzo (Jesolo), e che questo silenzio – non il silenzio ma un silenzio – un poco lo esprime. E dunque aggiungo la foto. Buoni silenzi…